Chi è il giurista d’impresa 4.0 al passo con la trasformazione digitale
Un giurista a fianco delle aziende
Il giurista d’impresa è un legale che si occupa di contrattualistica nazionale ed internazionale. Tutela le aziende dal punto di vista giuridico al fine di evitare rischi legali e, grazie alle sue spiccate competenze manageriali, è in grado di risolvere le complesse ed articolate problematiche si presentano ogni giorno. Questa figura abbina alla sua formazione giuridico-economica la capacità di promuovere il rispetto della legalità e della compliance delle imprese.
Di cosa si occupa il Giurista d’impresa 4.0
Il Giurista d’impresa 4.0 lavora in contesti di trasformazione digitale dove i processi operativi e i modelli organizzativi si modificano in relazione all’uso delle ICT. L’innovazione tecnologica ha inciso profondamente su alcune tipiche operatività di imprese e professionisti: contratti on line, firma elettronica e firma digitale, perfezionamento a mezzo “point and click”, nuove forme di trasporto e relativi modelli contrattuali senza dimenticare, ovviamente, gli adempimenti telematici e le tante semplificazioni nella gestione amministrativa dell’impresa ed in particolare in atti e procedimenti societari.
Proprio grazie all’enorme pervasività delle tecnologie digitali, gran parte delle compliance che il Giurista d’impresa deve verificare – Modelli di Organizzazione e Gestione e Controllo (D. Lgs 231/2001), trattamenti di dati personali (D. Lgs 196/2003, Regolamento (UE) 2016/679), protezione delle informazioni (Circ. 285 Bankitalia, PSD, ecc.), diritti dei consumatori, dematerializzazione (firme elettroniche e conservazione digitale), salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (D.lgs. 81/08) – hanno dunque un ”risvolto” digitale da valutare.
Dove lavora questo professionista?
Opera in grandi e medie aziende principalmente, dove interpreta le disposizioni legislative interne ed internazionali da applicare, lavorando a fianco dell’Amministratore delegato o del direttore generale.
Vuoi diventare Giurista d’impresa 4.0? Dai un’occhiata al nostro master di qualifica professionale.
Chi è il Full Stack Developer?
Chi è il Full Stack Developer?
È un programmatore che riesce a seguire lo sviluppo completo di applicazioni, sistemi o siti web dalla A alla Z. Possiede competenze sia lato front-end che back-end, ovvero sa lavorare sia sull’interfaccia utente con cui è possibile interagire direttamente, sia su lato server e database. Conosce i principali framework e linguaggi di programmazione, fino al machine learning. Con la sua formazione tecnico gestionale completa, può progettare, sviluppare, testare e distribuire siti o applicazioni web partendo da una corretta architettura dei dati, sia di navigazione che relativa alla struttura della singola interfaccia.
Competenze ampie e aggiornate
Come esperto di front-end padroneggia linguaggi come HTML, CSS e javaScript insieme a librerie a framework quali Angular, React, Laravel. Sa progettare la User Experience e la User interface di siti web a app. Come esperto di back-end conosce i linguaggi tra cui PHP e Python, e sa occuparsi dei database con SQL o MongoDB. Proprio grazie alle sue numerose competenze può lavorare in modo trasversale su ogni progetto. Può lavorare in team come in modo indipendente, perché riunisce più figure in una! Spesso nelle aziende molto grandi si trovano più persone dedicate solo ad attività di front-end o di back-end, mentre il full stack sa muoversi contemporaneamente in entrambi gli ambiti, per questo è una risorsa preziosa.
Le soft skills del full stack developer
Questa persona in genere sviluppa una buona capacità di comunicare con i colleghi che lavorano su attività diverse dello stesso progetto. Sa pianificare il lavoro tenendo conto della corretta gestione del tempo. Il pensiero creativo completa il tutto.
Come diventare full stack developer?
Chi diventa full stack sicuramente ha una grande passione per l’informatica. Si può diventare full stack grazie a diplomi o lauree a carattere informatico, oppure grazie a corsi di formazione professionale (dai un’occhiata al Master Selefor per Full stack Developer). Ma può diventarlo anche chi già lavora come programmatore e decide di ampliare le sue competenze. Cosa serve? Curiosità e voglia di aggiornarsi!
La figura del Project Manager ottiene la qualifica professionale
Chi è il Project Manager
Il ruolo di project manager (o responsabile di progetto) è quello di consulente strategico, innovatore, comunicatore e acceleratore del cambiamento. Tale figura genera valore per le aziende attraverso la gestione di progetti, dalla pianificazione fino alla chiusura; analizza il contesto ambientale e tecnico-organizzativo che circonda il progetto; stabilisce gli obiettivi da raggiungere, definisce le fasi di esecuzione, controllo e chiusura del progetto; coordina il team di lavoro e intrattiene relazioni con gli stakeholder.
Nelle “aziende 4.0”, che sperimentano la trasformazione digitale dei loro processi, il project manager è un agente di innovazione, che promuove l’integrazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) nelle attività aziendali, motivando i team alla loro adozione e influenzando gli stakeholder perché comprendano le opportunità collegate alla trasformazione digitale. È chiamato a cambiare le logiche e la mentalità di chi lavora ai progetti, facendosi carico dell’iniziale resistenza al cambiamento che ogni progetto innovativo porta con sé.
Il passaggio dall’autoregolamentazione con la norma UNI a qualifica professionale europea di PM
La professione del project manager in Italia possiede due normative di riferimento, la legge 04/2013 e il d.lgs. 13/2013. La prima, la cosiddetta legge sulle professioni non organizzate (ossia attività che non sono riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 c.c.), all’art. 6 basa la qualifica sulla conformità della prestazione professionale alle norme tecniche UNI ISO, UNI EN ISO, UNI EN E UNI riunite nella “normativa tecnica UNI”.
Il d.lgs. 13/2013, invece, accoglie, tra le altre le raccomandazioni europee, quella sulla costituzione del quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF) del 23 aprile 2008, andando a stabilire, attraverso apposite tabelle, chi e in quale modo può raggiungere la qualifica di PM.
Le normative sopra descritte non sono discordanti ma seguono percorsi diversi. In particolare, il d.lgs. 13/2013, in conformità agli impegni assunti dall’Italia a livello europeo allo scopo di garantire la mobilità delle persone e favorire l’incontro tra domanda e offerta nel mercato europeo del lavoro (e un’ampia spendibilità delle certificazioni in ambito europeo), ha istituito il repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali, di cui all’articolo 4, c. 67, L. 92/2012.
Come funziona la norma UNI in riferimento al ruolo di PM
Fino a quando non è stata istituita la qualifica professionale di project manager, l’unico modo per ottenere un riconoscimento in questo ruolo era acquisire una o più certificazioni basate sulla normativa UNI. Infatti, secondo la legge del 14 gennaio 2013 n. 4, art. 6, si favorisce l’autoregolamentazione volontaria delle professioni non organizzate attraverso la norma UNI.
L’istituzione della qualifica professionale per project manager
A partire dal D.D. 1123 del 2019-10-31 – Burc : 66 del 2019-11-04 all’interno del Bollettino Ufficiale della Regione Campania n.66 del 2019-11-04 area Decreti Dirigenziali, viene pubblicato: ‘Approvazione Schede aggiornate descrittive di Standard Professionali e Formativi di dettaglio relative a n. 20 Qualificazioni appartenenti al Settore Economico Professionale 25 – AREA COMUNE’.
Lo stesso decreto, in linea con le raccomandazioni europee e con la precedente delibera della Giunta regionale 223/2014, fa rientrare la figura del Project Manager all’interno del quadro europeo delle qualificazioni, andando ad assegnargli una descrizione, una referenza ATECO 2007 ed una referenziazione ISTAT CP2011, così come riportato di seguito. È possibile verificare i dati citati sopra al seguente link della Regione Campania: http://capire.regione.campania.it/rrtq/public/stampa/sp/469
Tra i vantaggi del riconoscimento attraverso qualifica professionale segnaliamo la validità della stessa a livello italiano ed europeo e il valore legale della qualifica.
Come Selefor Agenzia Formativa accreditata presso la Regione Campania eroghiamo il master di 500 ore per ottenere la qualifica professionale di Project Manager.
Il CReFIS, una finestra sulla trasformazione digitale: tra ricerca, formazione e consulenza al passo con le nuove competenze
Premessa
L’attività del Centro di ricerca e formazione integrata Selefor (CReFIS) si concentra sui profili identificativi della nuova economia, segnatamente la trasformazione digitale e i dati che tale trasformazione produce.
In questa prospettiva, il CReFIS mette a disposizione di Selefor le conoscenze (scenari, tendenze, contenuti) in materia di trasformazione digitale e protezione dei dati personali; conoscenze che sono strumentali alla diffusione della cultura digitale e dei dati, all’innovazione e al benessere delle persone e delle organizzazioni.
Nel quadro di tali attività, il CReFIS si avvale delle migliori risorse, umane e tecnologiche, per lo svolgimento delle attività di formazione, ricerca e consulenza organizzativa.
Trasformazione digitale
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) sono destinate a caratterizzare l’attività di ogni settore dell’economia di un paese, modificando i processi delle organizzazioni in una prospettiva di ottimizzazione delle risorse. Una tale trasformazione digitale si distingue, tra l’altro, sotto il profilo delle competenze che, in tale prospettiva, devono esibire la capacità di utilizzare le ICT nella prestazione lavorativa (digital skills).
L’attività del CReFIS con riguardo all’area della trasformazione digitale mira, tra l’altro, a individuare le competenze legate a tale fenomeno che, secondo i casi, rappresentano un’evoluzione, in senso digitale, di quelle preesistenti (ad esempio, le competenze del giurista d’impresa, project manager, HR manager devono essere adeguate alle nuove tecnologie) ovvero nuovi profili di competenza (es, full stack developer, data scientist, data analyst, cyber security advocates).
In questa prospettiva, il CReFIS propone prodotti formativi – tra gli altri, i Master Digital HR 4.0 e Full Stack Developer – idonei a fornire le competenze digitali necessarie per le figure professionali nuove e preesistenti.
Protezione dei dati personali
L’attività del CReFIS con riguardo all’area della protezione dei dati personali si svolge sia sul versante della formazione – con il Corso professionale e certificato per Data Protection Officer, il Corso di aggiornamento per DPO e corsi specifici (es., Data breach management) – sia sul lato della consulenza organizzativa, con la proposta di un modello di “valorizzazione della protezione dei dati” basato sulla prospettiva di utilizzare la protezione dei dati come fattore di business.
Il predetto modello descrive pertanto un equilibrio della data economy; un bilanciamento tra il diritto alla protezione dei dati personali e la libertà d’impresa, in cui la protezione dei dati personali – e dunque la compliance al GDPR – è utilizzata alla stregua di una lèva competitiva.
Il modello del CReFIS, dunque, ribalta la prospettiva del GDPR – ben inteso, sempre a tutela dei diritti e delle libertà delle persone fisiche – interpretando la protezione dei dati personali come opportunità (lèva competitiva) anziché come obbligo.
Come la direzione HR diventerà change leader in azienda
Approfondimento estratto dal Project Work “People Management 4.0” realizzato in ambito del Master in Digital HR 4.0 Selefor CReFIS e scritto da Deborah Donisio, Antonia Lambiase, Elisabetta Nugnes, Valeria Picca, Daniele Puco, Andrea Spalice.
Il passaggio all’economia digitale e ai nuovi paradigmi economici è un processo inarrestabile che procede a velocità notevolmente elevate, e richiede dunque alle imprese un’agilità e un atteggiamento proattivo che permettano di non rimanere indietro. Tali fattori dipendono dalle attitudini e dalla cultura aziendale, oltre che dal ruolo e dall’operato di chi le aziende deve guidarle: i leader. La digital disruption (rivoluzione digitale) richiede il ripensamento dei Business Models e dei processi aziendali, così da riuscire a competere nell’era del cambiamento. I leader devono guidare in prima persona il processo di riorganizzazione aziendale e di ridefinizione dei processi produttivi, garantendo sia flessibilità sia l’orientamento all’innovazione.
Il concetto Industry 4.0 nell’ambito delle risorse umane è rilevabile nei rapporti quotidiani tra tutto lo staff HR delle aziende ed evidenzia un naturale aumento dell’esigenza di tecnologia, modelli e servizi. Finalmente, dopo tanti anni, si evidenziano forti richieste di digitalizzazione condivisa e distribuita su tutto il personale, dove molte funzioni anche organizzative sono demandate ai vari manager, lasciando alla Direzione Risorse Umane un ruolo di guida, di coordinamento e di controllo.
All’interno dell’organizzazione aziendale, tutte le linee di business devono contribuire al processo di trasformazione digitale, che non può essere ricondotto solo ad una questione tecnologica, ma è una sfida che spesso richiede un vero e proprio cambiamento culturale, insieme ad un ripensamento dei modelli di sviluppo e gestione del capitale umano. Come emerge da una ricerca condotta da NetConsulting Cube nel 20191, il ruolo dell’HR nell’indirizzare la trasformazione digitale in azienda sta diventando sempre più importante: oltre il 55% dei Direttori HR afferma che la propria funzione ha acquisito maggiore strategicità rispetto all’anno precedente nel guidare l’azienda verso il “Digital change”.
In futuro, la Direzione HR sarà sempre più vista come Change Leader che, a fianco del CEO, contribuirà ad un cambiamento delle modalità di lavoro, della vision aziendale in ottica Employee-Centric, dell’approccio e del posizionamento della risorsa all’interno dell’azienda. Pertanto, la funzione Risorse Umane non può prescindere da una trasformazione interna. Le nuove tecnologia, in particolare Intelligenza Artificiale e Machine Learning, rappresentano gli strumenti che permettono, attualmente, all’HR di rivedere i propri processi e modelli di organizzazione del lavoro con l’obiettivo di ottimizzarli, in parte automatizzarli e renderli adeguati alle nuove esigenze di un mondo del lavoro ormai digitale.
Con l’espressione HR Tech si intende, in termini generici, l’applicazione delle nuove tecnologie al settore delle risorse umane. In sostanza si parla di tutto ciò che consente di rendere più snelli ed efficaci i processi degli uffici HR, attraverso una varietà di tool, applicazioni e piattaforme nate con lo scopo di perfezionare gli strumenti tradizionali e fornire soluzioni innovative per la gestione del personale, garantendo alle aziende che li sfruttano dei vantaggi nei confronti della concorrenza. Queste tecnologie ruotano essenzialmente attorno all’acquisizione e allo sfruttamento dei dati, all’apprendimento automatico e all’automatizzazione dei processi e possono essere applicate a tutti gli ambiti delle risorse umane:
• Core HR, i software sono utilizzati per la gestione dei dati del lavoratore, contratti, buste paga, organigrammi aziendali.
• Workforce management, gli strumenti rilevano le assenze/presenze e gestiscono i timesheet e scheduling delle attività.
• Performance management, si sfruttano sistemi per le valutazioni periodiche e per il monitoraggio degli obiettivi individuali.
• Development and learning, con corsi di aggiornamento, tramite piattaforme di e-learning, ed assessment delle competenze.
• Recruitment and hiring, i software di ultima generazione ottimizzano i vari processi attraverso, ad esempio, l’implementazione di una sezione “career” sul sito aziendale e a tool per la gestione dei CV, migliorando le connessioni interne all’azienda, facilitando la gestione del personale e rendendo più efficaci anche le attività di head hunting e recruiting.
Agli HR Manager sono oggi richieste soft e hard skill decisamente più specifiche rispetto a quanto avveniva in passato. Tra queste si possono individuare:
• Data collection e analysis: saper lavorare con i dati che l’azienda raccoglie, aiuta ad implementare strategie mirate per la formazione, a contattare i candidati migliori in fase di selezione e, in generale, a lavorare sulla base di insight molto mirati.
• Attitudine tecnologica: è essenziale coinvolgere le risorse migliori all’interno di un panorama digitale sempre più vasto e riconoscere i software/tool più utili e sfruttarli a dovere.
• Visione strategica: sapersi muovere nella complessità delle imprese moderne ed avere una solida conoscenza delle strategie aziendali, selezionando e gestendo il capitale umano sulla base degli obiettivi di business.
• Talent management: anche nel mondo della rivoluzione tecnologica le persone restano il cuore dell’azienda, occorre saper gestire i talenti, guidandoli nella loro crescita.
Chi è il Data Scientist
“Se non lo puoi misurare, non lo puoi migliorare” è una delle massime più celebri di Lord Kelvin e si abbina bene al momento storico attuale invaso dai big data.
Il contesto in cui si muove
In un mondo in cui ci si affida sempre più all’analisi dei dati per essere competitivi e anticipare le tendenze, risulta fondamentale contare su un Data Scientist che ha le competenze per capire dove reperire i dati e come utilizzarli per generare nuove opportunità, poiché una serie estesa di dati grezzi non porta alcuna informazione se non sappiamo come trattarla. Come suggerisce una ricerca condotta dal MIT Center For Digital Business, le aziende che utilizzano processi decisionali data-driven sono più profittevoli e più produttive rispetto alla media, perché migliorano il proprio business uniformandolo a modelli e strategie basate sulle informazioni che ognuno di noi lascia su internet.
Le competenze del data scientist
Definito dall’Harvard Business Review “The Sexiest Job of the 21st Century”, il Data Scientist gestisce i dati, strutturati e non, e li analizza per trarne informazioni rilevanti e progettare nuove soluzioni. Figura altamente specializzata, il Data Scientist combina diverse professionalità e possiede competenze eterogenee (conoscenza del mercato e del business di riferimento, tecnologia, matematica, statistica, linguaggi di programmazione, machine learning), ma con diversa intensità a seconda degli obiettivi e dei ruoli che deve assumere in azienda. Può lavorare a strategie di business e di marketing, come alla progettazione di nuovi prodotti e servizi indicando le strada giusta da intraprendere. Esistono diverse specializzazioni tra i data scientist, tra cui l’Advanced Business Intelligence Specialist, l’Advanced Quantitative Analyst, l’Advanced Developer, l’Advanced Business Data Analyst a seconda delle competenze possedute.
Fondamentali, oltre alle competenze tecniche, risultano essere le soft skill: capacità comunicative (è necessario modulare il proprio linguaggio a seconda dell’interlocutore, in considerazione del fatto che il Data Scientist si interfaccia non solo con tecnici, ma anche con referenti di altri settori aziendali e con gli stakeholders), capacità di lavorare in gruppo, voglia di formarsi e aggiornarsi costantemente vista la velocità di evoluzione del settore ICT (Information And Communications Technology). La caratteristica forse più importante di un Data Scientist è la curiosità, cioè l’attitudine di analizzare in profondità i fenomeni trovando correlazioni e relazioni di causa-effetto.
Chi è l’HR Specialist e come lavora in aziende 4.0
Approfondimento estratto dal Project Work “People Management 4.0” realizzato in ambito del Master in Digital HR 4.0 Selefor CReFIS e scritto da Deborah Donisio, Antonia Lambiase, Elisabetta Nugnes, Valeria Picca, Daniele Puco, Andrea Spalice.
L’ addetto alla gestione delle risorse umane è colui che garantisce una corretta gestione del personale, supervisionando ed intervenendo in molti dei processi che lo riguardano come la selezione, la formazione e sviluppo, l’amministrazione, garantendo la coerenza del suo operato con gli obiettivi strategici dell’azienda.
Si occupa di gestire la programmazione del fabbisogno di personale dell’azienda attraverso un’analisi dei dati e delle prestazioni delle risorse umane interne, di analizzare le posizioni vacanti e pianificare le attività di reclutamento del personale, coordinando e supervisionando il lavoro dei Recruiter. Compatibilmente con le linee direttive dell’azienda, si occupa anche di valutare e progettare interventi di formazione del personale.
Pertanto l’addetto alla gestione HR deve possedere delle competenze trasversali quali la capacità di lavorare in team, la capacità di ascolto e proprietà di linguaggio, capacità organizzative e, con lo sviluppo tecnologico, buone capacità con i sistemi informatici. Negli ultimi anni la tecnologia ha contribuito fortemente ad automatizzare ed integrare le tipiche funzioni della gestione delle risorse umane delle aziende. Esistono strumenti pensati specificatamente per il recruiting, altri per la gestione quotidiana dei dati e delle attività dei dipendenti, altri ancora più legati agli aspetti formativi. Come la rilevazione delle presenze che avviene tramite un software è in grado di gestire le timbrature di tutto il personale, gestendo anche le rotazioni per le ferie o i permessi, consentendo l’elaborazione dei cedolini e tutte le operazioni legate a essi. L’Intelligenza Artificiale può essere utilizzata anche in quelle attività di gestione amministrativa delle risorse umane, ad esempio attraverso assistenti virtuali che aiutano il dipendente nella ricerca self-service di documenti ed informazioni su policy e procedure aziendali, o nella compilazione automatica di note spese, richieste ferie/permessi, timesheet o nella prenotazione di sale meeting.
Infine, per le attività di recruiting e di talent selection, attraverso motori semantici basati sul machine learning, la tecnologia ottimizza il processo di prescreening dei CV dei potenziali candidati ed individua, sulla base di determinati parametri/criteri di valutazione, quelli potenzialmente più adatti a soddisfare i requisiti dell’azienda. È possibile anche utilizzare dei chatbot per affiancare l’attività dei recruiter nel processo di preselezione, con l’obiettivo di velocizzare ed automatizzare non solo la verifica di alcuni parametri “oggettivi” come il job title, la retribuzione e il luogo di provenienza dei candidati, ma anche di alcune soft skill ricercate dall’azienda nei propri dipendenti.
Lo sviluppo dei dipendenti è un processo grazie al quale i lavoratori di un’azienda migliorano le loro abilità e ne imparano di nuove che servono per svolgere il loro lavoro in modo più efficace ed efficiente. Per “azioni di sviluppo” delle risorse umane si intendono, infatti, tutte quelle attività che promuovono la crescita del personale (competenze, senso di appartenenza, motivazione), durante il percorso professionale.
Colui che si occupa di sviluppo diventa una figura fondamentale per allineare il modello operativo, i processi aziendali e le competenze del personale alle strategie dettate dall’imprenditore. Le strategie di sviluppo del personale mettono in relazione le esigenze aziendali con le aspettative personali del lavoratore. Vi sono varie tecniche che l’azienda può attuare:
- Formazione mirata: l’azienda o un ente esterno eroga i corsi formativi, indoor o outdoor, dal vivo o in e-learning, su determinate skills o tematiche che ritiene fondamentali per i manager o gli operatori;
- Coaching: tecnica largamente utilizzata per aiutare manager, team leader ed i lavoratori a sviluppare, migliorare e potenziare le loro capacità umane e professionali, relazionali, comunicative, di problem-solving e di raggiungimento degli obiettivi;
- Mentoring: metodologia di trasferimento delle competenze e diffusione delle informazioni grazie al supporto di figure interne con grande esperienza;
- Job rotation: tecnica aziendale che prevede cambiamenti periodici nella mansione dei collaboratori per diffondere la conoscenza di tutte le fasi del processo aziendale; si distinguono rotazione verticale (ruoli con crescente responsabilità), orizzontale (ruoli di pari livello), internazionale, inter-funzionale (su aree gestionali diverse).
Ultimo compito dell’addetto alle risorse umane è quello di valutare il personale, attraverso un insieme di tecniche di analisi della persona che hanno l’obiettivo di verificare l’adeguatezza di un soggetto a ricoprire un determinato ruolo, identificando possibili lacune da colmare con percorsi di sviluppo progettati ad hoc.
Occorre valutare, in primis, le prestazioni, confrontando i risultati ottenuto e gli obiettivi prefissati. La valutazione può essere svolta anche sul potenziale, basandosi sulle caratteristiche non espresse di una persona in un determinato ruolo o sulle competenze, attraverso l’esame del patrimonio di conoscenze, qualità e capacità possedute in relazione agli obiettivi analizzati. Generalmente chi si occupa delle valutazioni del personale sono i supervisori (team leader, manager), ma anche ai clienti può essere chiesto di valutare il personale.
La valutazione delle prestazioni può effettuata con Test Psicometrici, questionari, test multipli ed è stata implementata efficacemente anche grazie all’uso di adeguati software (come H1-HRMS di EBC Consulting), in grado di ripagare l’impegno aziendale con un miglioramento continuo delle prestazioni e con un maggior grado di fidelizzazione delle risorse umane all’azienda.
L’HR Disruption connessa al Digital SKill Gap
Approfondimento estratto dal Project Work “People Management 4.0” realizzato in ambito del Master in Digital HR 4.0 e scritto da Deborah Donisio, Antonia Lambiase, Elisabetta Nugnes, Valeria Picca, Daniele Puco, Andrea Spalice.
La quarta rivoluzione industriale è dirompente, spostando il ruolo delle risorse umane come lo conosciamo ed influenzando l’attuale paradigma di gestione delle risorse. Il passaggio alla quarta rivoluzione industriale sta traghettando le imprese pubbliche e private verso una nuova dimensione detta bimodale, perché costituita da un ecosistema di risorse, fisiche e virtuali che sta sovvertendo usi e costumi su scala globale.
Le tecnologie digitali, infatti, hanno permeato progressivamente ogni settore a qualunque livello organizzativo, influenzando il nostro modo di produrre, di pensare, di interagire e di comunicare. Un mix tecnologico di automazione, informazione, connessione e programmazione ha innescato un forte cambio dei paradigmi tecnologici e culturali che, coinvolgendo il sistema Paese in tutte le sue forme, generano nuovi modelli di sviluppo e di servizio all’insegna di una trasformazione sempre più spesso sinonimo di disruption.
Il problema è quello di risolvere il digital skills gap, ovvero la carenza di competenze digitali disponibili rispetto a quelle richieste dal mercato del lavoro. In altri termini, manca completamente il match tra chi offre lavoro e chi cerca lavoro.
In ogni impresa, alcune competenze si manifestano in modo esplicito, altre, invece, non si manifestano e rimangono dormienti. Ciascuna impresa può provare a valorizzare le competenze nascoste e inespresse cercando i collaboratori che le possiedono o le hanno sviluppate personalmente. Nel contesto attuale, questo passaggio diviene spesso indispensabile: occorre individuare i collaboratori che le posseggono e metterli in condizione di poterle esercitare nel contesto lavorativo.
Secondo gli esperti, è molto probabile che il gap tra domanda e offerta di giovani talenti andrà sempre più acuendosi nei prossimi anni visto che la scuola e l’università sono lente ad adeguare la propria offerta formativa alle esigenze del mercato del lavoro. Un paio di anni fa, i dati dell’Unione Europea prevedevano entro il 2020 un deficit di 825.000 risorse con competenze tecnologiche. Alcune recenti analisi di Unioncamere hanno messo in luce il fatto che nelle imprese italiane le skill digitali sono richieste per 7 assunti su 10, pari a 3,2 milioni di lavoratori, ma il 28,9% di questi profili, vale a dire circa 940mila posizioni lavorative, sono difficili da coprire per inadeguatezza o ridotto numero di candidati.
Al di là delle previsioni degli analisti, la velocità della trasformazione digitale sta portando a un mercato difficile da gestire: i responsabili HR cercano professionalità del digitale e non le trovano. Per sviluppare e valorizzare il patrimonio di skill digitali è buona prassi avere sempre sotto controllo le competenze digitali presenti in azienda. Per farlo molte aziende stanno portando avanti progetti di mappatura e assessment delle competenze, tra queste Esselunga, Oleificio Zucchi e Nexi.
La questione è che le imprese, per creare più valore e competere meglio sul mercato, non possono basarsi soltanto su idee e risorse interne, ma hanno il dovere di ricorrere anche a strumenti e competenze tecnologiche che arrivano dall’esterno, in particolare da startup, università, istituti di ricerca, fornitori, inventori, programmatori e consulenti.
Questo trend ha un nome: Open Innovation, ovvero un modello di ricerca dell’innovazione che passa da nuove formule di collaborazione e di scambio in cui è incluso il crowdsourcing. Avvalersi di risorse attingendo al mare magnum di Internet permette alle aziende nuove economie di scala. Gli specialisti, infatti, possono essere selezionati e scelti indipendentemente da dove si trovino, operando spesso anche su base volontaria.
Affidare la progettazione, la realizzazione o lo sviluppo di un progetto, oggetto o idea a un insieme indefinito di persone non organizzate precedentemente è un altro aspetto della digital disruption, ma anche un nuovo modo che l’HR ha oggi per compensare il digital gap.
Indagine sul Master HR: cosa si aspettano gli studenti
Ad Agosto 2020, nell’ambito della promozione sul web del nostro Master in Digital HR 4.0 organizzato dalla Selefor CReFIS Academy, abbiamo somministrato un questionario in forma anonima e libera, non finalizzato ad un’ulteriore azione o iscrizione al master. Grazie a questo sondaggio sono emerse le preferenze della nuova generazione di HR Specialist. L’iniziativa rientra nell’ambito di ricerca del CReFIS.
Gli interessati che hanno partecipato al questionario sono stati in totale 453.
I nuovi HR Specialist puntano tutto sul digitale 4.0
Per prima cosa è emerso che il 98,2%, di 451 persone che hanno risposto, desidera lavorare in ambito Human Resources e sviluppare delle competenze innovative che permettano loro di muoversi in contesti HR 4.0, plasmati dalla digital transformation. Saper comunicare, gestire e guidare il cambiamento è una competenza chiave per la Direzione HR del futuro. È chiaro che la maggior parte dei futuri HR Specialist considera importante già a priori formarsi attraverso un master aggiornato e focalizzato sul digitale, così da avere fin da subito un vantaggio competitivo a livello di conoscenze 4.0. Questa ipotesi viene confermata dalle risposte della seconda domanda “Quanto è importante per te frequentare un master per sviluppare le tue competenze?” dove su una scala da 1 (=minimo) a 5 (=massimo) la media del punteggio totale è risultata 4.4. Ecco perché il nostro master è improntato al digital 4.0, all’utilizzo delle nuove tecnologie social, cloud, mobile e analytics, ed è gestito dal Centro Ricerca CReFIS che monitora l’andamento della trasformazione digitale nelle aziende.
Cosa rende competitivo un master HR nel 2021?
Affermata l’importanza di frequentare un master per formarsi in modo professionale, abbiamo chiesto loro di scegliere fino a 3 servizi che avrebbero desiderato trovare nel master. Si tratta di servizi che già offriamo nel nostro percorso formativo.
Questi i risultati delle 453 persone:
- esempi pratici e casi reali 76,6%
- stage lavorativo 71,5%
- dispense per lo studio 44,2%
- Rivedere le lezioni registrate 34,9%
- Test ed esercizi periodici 29,4%
- Interazioni live con il docente 23,0%
- Tutor individuale 12,6%
Casi studio e stage per essere subito pronti al mondo del lavoro
Su tutti i servizi vince una formazione che sia concreta, basata su casi studio ed esempi pratici, in grado di calare i corsisti in un ambiente simile a quello lavorativo per renderli pronti ad affrontare le problematiche del mondo del reale. Per questo il nostro master è condotto da docenti professionisti che hanno avuto esperienze lavorative in ambito HR. Ospitiamo anche persone che raccontano le proprie testimonianze relative a realtà lavorative particolari o casi di successo per dare loro un punto di vista interno.
Lo stage lavorativo si piazza in seconda posizione, confermando il trend che vede protagonista l’ambiente di lavoro. Nel nostro percorso formativo dedichiamo 200 ore allo stage in azienda. Durante queste ore il candidato svolge diverse attività per mettere in pratica le conoscenze appena acquisite e realizza un project work personale. Il tirocinio rappresenta un punto di contatto con il mercato del lavoro anche in prospettiva di assunzione.
Lezioni registrate e dispense sempre a disposizione per facilitare lo studio
Il terzo e quarto posto evidenziano l’importanza di avere sempre a disposizione tutti i materiali delle lezioni, dalle dispense alla possibilità di rivedere le lezioni, per accompagnare lo studio e recuperare eventuali assenze. Ciò è possibile grazie agli strumenti che utilizziamo, da Jforma che ci permette di gestire le iscrizioni e la diffusione del materiale, all’utilizzo dell’aula virtuale per la frequentazione delle lezioni effettuate online, obbligatorie in epoca Covid-19.
Le lezioni online battono quelle in aula fisica
Abbiamo comunicato ai partecipanti al test che gli stessi servizi sono disponibili in aula virtuale (online). Il 94,9% ha dichiarato che li avrebbe scelti abbinati all’aula virtuale, ovvero con lezioni online che si svolgono “live” e permettono agli studenti di interagire con i docenti e partecipare a lavori di gruppo. Seguire le lezioni online presenta diversi vantaggi, primo quello di non perdere tempo o soldi spostandosi da casa propria per raggiungere la scuola; inoltre permettono di rivedere le registrazioni e seguire comodamente a casa propria.
L’ultima domanda ha riguardato il lasso di tempo in cui queste persone si aspettavano di cominciare a lavorare in ambito HR. In questo caso il 54,5% delle risposte ha scelto entro 6 mesi, mentre il restante entro il 2021.
Dalle risposte ricavate dal test possiamo intuire i trend e le esigenze di chi decide di intraprendere questo tipo di percorso formativo nell’ambito delle risorse umane. Per riassumere sono centrali l’innovazione e la vicinanza al mondo del lavoro, unito alla comodità dell’online.
Di seguito gli screenshot dei risultati del test:
Illecito trattamento di dati personali effettuato da “Roma Capitale”
Il Garante per la protezione dei dati personali ha inflitto una sanzione di € 500.000 all’ente territoriale “Roma Capitale” in relazione all’illecito trattamento di dati personali di utenti e dipendenti, effettuato attraverso il sistema informatico di prenotazione degli appuntamenti (“TuPassi”).
Nel corso di una complessa e lunga attività istruttoria, avviata nel marzo del 2019 (Cfr. GPDP, Provv. n. 81/2019), il Garante ha accertato diversi profili di difformità dei comportamenti di “Roma Capitale”, titolare del trattamento, rispetto al GDPR. In particolare, il trattamento è stato effettuato in violazione:
(i) degli artt. 13 e 14, GDPR, che stabiliscono l’obbligo, per il titolare del trattamento, di fornitura delle informazioni agli interessati (utenti e dipendenti);
(ii) dell’art. 5.1, GDPR (con particolare riguardo alle lettere lett. a), b), c) ed e) ), riguardante i princìpi generali applicabili al trattamento;
(iii) dell’art. 28, parr. 2 e 3, GDPR, concernenti l’obbligo di regolamentare, con un atto giuridico i trattamenti di dati personali affidati dal titolare alla Società fornitrice del sistema “TuPassi” nell’ambito dei servizi di assistenza e manutenzione;
iv) dell’art. 32, GDPR, che stabilisce l’obbligo di adottare misure tecniche e organizzative per garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio, tenendo conto, in particolare, della natura, dell’oggetto, del contesto, delle finalità e dei rischi associati al trattamento per i diritti e le libertà delle persone fisiche.
A cura di Giovanni Crea, direttore scientifico del CReFIS.