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Data Breach, cos’è e come prevenirlo.

Innanzitutto cos’è il data breach?

Secondo la definizione del Garante per la protezione dei dati personali si tratta di “una violazione di sicurezza che comporta – accidentalmente o in modo illecito – la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l’accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati.”

Cosa fare in caso di data breach.

Nel caso in cui ci si trovi a fronteggiare un’esperienza simile a causa di una fuoriuscita di dati, di perdita o furto di dispositivi e documenti cartacei, è necessario fare riferimento alle linee guida 01/2021, adottate dall’Edpb (Comitato europeo per la protezione dei dati) approvate nella riunione plenaria del 14 gennaio scorso.

Puoi consultarle qui: https://edpb.europa.eu/our-work-tools/public-consultations-art-704/2021/guidelines-012021-examples-regarding-data-breach_en

All’interno di queste linee guida si possono trovare casi di violazione dei dati già affrontati dai Garanti privacy, e a cui fare riferimento. Vi si trovano anche i fattori di rischio da prendere in considerazione, buone e cattive pratiche per la gestione dei dati personali, indicazioni su quali casi richiedano di notificare la violazione all’Autorità Garante e, se necessario, di informare le persone coinvolte. Si tratta di un vero e proprio vademecum da avere sempre sotto mano per chi si occupa del trattamento dei dati.

Prevenire le violazioni dei dati

Le linee guida contengono anche le analisi delle misure adottate dai titolari del trattamento prima di aver subito un data breach, utili per capire come prevenire i rischi di una potenziale violazione dei dati.

Quali sono gli errori più frequenti? Facciamo qualche esempio:

  • l’omessa cifratura dei dati che consente a chi li acquisisce in maniera fraudolenta di consultare informazioni riservate;
  • una non corretta gestione dell’autenticazione degli utenti a siti web, a causa dell’utilizzo di password deboli o conservate in chiaro;
  • l’impiego di identificativi di sessione all’interno degli indirizzi web degli utenti, informazioni che facilitano l’accesso illecito a contenuti che dovrebbero rimanere protetti;
  • essere oggetto di un attacco ransomware (un virus informatico che rende inservibili i dati fino al pagamento di un eventuale riscatto) verso i propri dati;
  • spedire e-mail ai destinatari sbagliati;

Oltre alla consultazione delle linee guida, è sempre raccomandabile assumere la figura del Data Protection Officer per assicurare che il proprio trattamento dei dati personali sia svolto in compliance al GDPR e norme privacy.

 

Fonte: “GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI” https://www.gpdp.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9525359

La trasformazione del lavoro connessa all’innovazione tecnologica. È necessario un sistema di adeguamento continuo delle competenze

La trasformazione digitale si caratterizza attraverso l’integrazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict) nell’attività umana. In questa prospettiva, l’operatività di famiglie, imprese, pubbliche amministrazioni e altre organizzazioni tende a svolgersi, in ampia misura, con l’ausilio delle Ict – e dunque anche di internet, prodotto emblematico di tali tecnologie – richiedendo pertanto abilità che consistono nel loro impiego per la creazione di contenuti e la loro condivisione, per la gestione dei processi aziendali e delle loro connessioni con quelli esterni (ad esempio, con i processi delle aziende fornitrici), per tutte le attività intermediate dalle piattaforme.

Sappiamo come la capacità delle Ict di incidere sia sulle modalità di esecuzione delle mansioni sia sugli aspetti dimensionali del lavoro abbia determinato un dualismo in cui si contrappongono la visione che esalta vantaggi e progressi in ogni campo, compreso il mercato del lavoro con la nascita di nuove professionalità e competenze, dinamismo dei flussi occupazionali in particolare nei settori economici emergenti, efficienza e rendimento delle prestazioni lavorative (produttività del lavoro) e, al contrario, l’opinione preoccupata che sottolinea l’effetto disruptive destinato ad abbattersi, in particolare, sulla forza lavoro con l’avvicendamento tra persone e macchine (1).

Peraltro, va osservato come la questione dell’impatto dimensionale sul mercato del lavoro prodotto dalle Ict non possa che incentivare il perseguimento degli obiettivi di adeguamento delle competenze ai profili digital che tali tecnologie richiedono; a tal riguardo, vale sottolineare che il divario esistente rappresenta un indicatore dell’obsolescenza delle skill che misura un aspetto rilevante della fase di trasformazione digitale in cui si trova un paese. La necessità di affrontare per tempo i fenomeni di disallineamento e di carenza di skill digitali – che nei prossimi anni potrebbero investire i mercati del lavoro sia dei Paesi avanzati sia delle economie emergenti – è stata sottolineata nel 2019 dal forum dei 20 paesi più industrializzati (G20), nell’ambito della Task Force 7: The Future of Work and Education for the Digital Age (2).

In questa prospettiva, le politiche volte alla riduzione del predetto divario dovrebbero prevedere sistemi di collaborazione tra soggetti pubblici e privati in relazione ai ruoli svolti – aziende, università, istituti scolastici, servizi di orientamento, sindacati – per favorire la conoscenza, sul lato dell’offerta di lavoro, delle dinamiche di mercato (innovazioni di prodotto e di processo e nuove competenze) legate alla trasformazione digitale e supportare la domanda di lavoro (i datori di lavoro) nella riorganizzazione dei processi in chiave digitale e nella ricerca delle skill più adeguate. Tali sistemi collaborativi possono essere opportunamente attuati attraverso logiche di networking che consentono alle organizzazioni di adattarsi e sopravvivere ai meccanismi di selezione.

Prof. Giovanni Crea, direttore scientifico del CReFIS

 

 

1- In tal senso, P. Tullini, Economia digitale e lavoro non-standard, in LLI, vol. 2, n. 2, 2016, 5.

2 – Cfr. A.C. Lyons, A. Zucchetti, J. Kass-Hanna, C. Cobo, Bridging the Gap Between Digital Skills and Employability for Vulnerable Populations, G20, 2019, Japan, March 25, https://bit.ly/3gZLiGa

Learning Management System: funzionamento e vantaggi in azienda

Approfondimento estratto dal Project Work “Formazione? Sì, grazie! Il futuro della formazione corporale e best practices” realizzato a fine del Master in Digital HR 4.0 Selefor CReFIS (2020) da Bianca Apetino, Ilaria Santoro, Valentina Tirolese, Giuseppe Bianco.

Come funziona un Learning Management System

Un LMS, ossia Learning Management System, è una piattaforma dedicata alla formazione digitale attraverso la quale è possibile creare e diffondere corsi di formazione online. A differenza dei semplici software di condivisione di file, una piattaforma LMS è un sistema organizzato in cui è possibile gestire, organizzare e controllare tutto il processo di formazione ed è per questa ragione che sono utilizzati non solo per tenere alta ed aggiornata la formazione dei dipendenti in azienda, ma anche per supervisionare quella dei neo assunti che, per esempio, potrebbero accedere e seguire un corso di onboarding.

Un LMS si può definire quindi, una vera e propria “università interna online” poiché il sistema non solo permette di creare contenuti e materiale formativo ma garantisce l’accesso agli “allievi” ed aiuta a valutare i risultati da essi pervenuti.

Gli LMS si differenziano in LMS Corporate (di natura aziendale) ed Academic LMS, entrambi forniscono l’accesso online al materiale ed il monitoraggio del processo di formazione, ma si contraddistinguono per:

OBIETTIVI: lo scopo principale dell’Academic LMS è la conoscenza teorica mentre un LMS Corporate concentra la propria formazione sul “pratico” ed è per questa ragione che uno dei principali obiettivi prefissati è il ROI (Return on investment).

DURATA: sicuramente più flessibile nel caso della Corporate LMS, a causa del tempo limitato da bilanciare e gestire rispetto all’orario di lavoro.

CERTIFICAZIONI/GRADI: la Corporate LMS monitora il completamento ed i progressi del corso di formazione attraverso CERTIFICAZIONI, mentre l’Academic LMS si avvale di GRADI come mezzo per supervisionare gli allievi attraverso i quali registra la frequenza ed i compiti portati a termine, ma anche ulteriori informazioni per ogni allievo registrato nel processo di formazione.

STRUMENTI: gli academic LMS adottano funzionalità diverse rispetto ai corporate, ossia piattaforme in grado di creare gruppi di allievi per offrire l’opportunità di lavorare a progetti o sessioni a tema, partecipare a forum di approfondimento o discussione, generalmente con strumenti di conferenza web integrati.

CONTENUTI AGGIORNATI: un Academic LMS predilige una formazione basata sulle scienze e sulle discipline umanistiche, per questa ragione i contenuti non necessitano di essere aggiornati frequentemente. Contrariamente, una corporale LMS, a causa delle esigenze del mercato che cambiano repentinamente, aggiorna il materiale ed i propri contenuti frequentemente.

PAGAMENTO: il primo quesito che di solito un’azienda si pone quando decide di adottare una piattaforma LMS è proprio il costo del servizio. E’ molto popolare l’idea che tutte le piattaforme LMS siano gratuite, ma si tratta di un grosso malinteso. In realtà non tutte le piattaforme potrebbero prevedere costi aggiuntivi per le licenze, ma ciò non significa che siano completamente gratuite. La scelta rispetto quale sia la migliore da adottare si attribuisce a seconda delle necessità e degli strumenti che si vuole avere a disposizione, ma la soluzione migliore per coloro che non hanno un background IT è l’utilizzo di un software commerciale, che non solo è più agevole da implementare ed utilizzare ma offre supporto tecnico e non richiede costi aggiuntivi.

SAAS/CLOUD LMS o LMS gestito da host. Adottare un LMS Saas è la scelta ideale nel caso in cui non si possegga un background in IT poiché è l’azienda o colui che ci fornisce il servizio che ha la responsabilità di curare il caricamento dei materiali formativi e l’archiviazione dei dati aziendali, in modo da non doversi preoccupare della gestione del sistema e concentrarsi completamente sui contenuti del processo formativo; scegliendo, invece, un LMS gestito interamente dal proprio host aziendale, tutte le responsabilità ricadono appunto sull’host. Alcune aziende adottano quest’ultimo tipo di LMS poiché sono intimorite dalla questione DATA SECURITY, considerando che nel Saas tutte le informazioni vengono archiviate nel server principale della piattaforma. Ad ogni modo esistono innumerevoli strumenti al fine di salvaguardare i propri dati, come controllare che il fornitore della piattaforma abbia un protocollo a riguardo.

COURSE CREATING (LCMS) o NON COURSE CREATING (LMS): in maniera più specifica, una LMS è uno strumento che permette di distribuire in maniera semplice dei contenuti già creati, mentre il sistema che oltre alla condivisione permette la creazione di contenuti è chiamato LCMS (Learning Content Management System). I due si compensano poiché una LCMS è un ottimo strumento per creare e gestire materiale per la formazione online, mentre un semplice LMS si focalizza sull’organizzazione degli utenti ed offre una più ampia gamma di esperienze formative, come ad esempio la gestione di forme più tradizionali di formazione come può essere il one to one.

I vantaggi di avere un LMS

E’ chiaro quindi che i benefici che apporta l’implementazione di un LMS per la formazione aziendale sono molteplici sia dal punto di vista aziendale che dal punto di vista del learner.

Dal punto di vista aziendale:

– RIDUCE I COSTI DELLA FORMAZIONE;

– RIDUCE E RIDISTRIBUISCE I TEMPI DELLA FORMAZIONE E DELL’ONBOARDING;

– MANTIENE UN BUON LIVELLO DI LAVORO TRA PARTNER ED AFFILIATI;

– CREA PROCESSI DI FORMAZIONE INDIVIDUALI;

– RILEVA L’EFFICIENZA DEL PROCESSO DI FORMAZIONE.

Dal punto di vista dei “learner”:

– ACCESSO ILLIMITATO AI CONTENUTI FORMATIVI, IN QUALSIASI MOMENTO ED OVUNQUE;

– AGGIORNAMENTI FREQUENTI;

– AUMENTO DELL’ENGAGEMENT DELLA CONOSCENZA;

– AUMENTO DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA;

– INCREMENTO DELLA RETENTION DELLA CONOSCENZA.

Diversi sono i casi in cui adottare un LMS sarebbe di supporto al miglioramento dei processi:

– ONBOARDING: creando un programma/corso di formazione per i neo assunti, è possibile semplificare ed agevolare la fase di onboarding;

– COMPLIANCE TRAINING: mantenendo i dipendenti aggiornati sulle nuove normative aggiornando semplicemente il programma di formazione aggiungendo i nuovi standard al corso online in pochi minuti;

– CONOSCENZA DEL PRODOTTO: il sistema consente di aggiornare i venditori sui prodotti o servizi della propria azienda, dopo il lancio di un nuovo prodotto o la reintegrazione di uno stesso;

– FORMAZIONE AI VENDITORI: il sistema può aiutare ad insegnare nuove tecniche di vendita ai venditori a seconda del luogo in cui esercitano la propria professione, sviluppando la comunicazione ed il dialogo con simulazioni, esercizi e test online;

– CANALI CONDIVISI CON AZIENDE PARTNER: attraverso i quali è possibile condividere lo stesso corso di formazione tra partner dislocati;

– CONOSCENZE BASE: tutti i contenuti formativi sono archiviati in un solo server ed è consentito l’accesso a tutti i dipendenti, compreso coloro che non desiderano seguire l’intero corso ma necessitano solamente di qualche informazione/nozione. E’ conveniente soprattutto per le aziende che devono implementare un processo di formazione per venditori che abbracciano un’ampia gamma di prodotti.

Tutto ciò che serve è una connessione internet ed un’email.

Attrarre nuovi talenti con la corretta strategia di Employer Branding

Approfondimento estratto dal Project Work “Nuove modalità di selezione in ottica 4.0. Strumenti tecnologie e casi aziendali” realizzato a fine del Master in Digital HR 4.0 Selefor CReFIS (2020) da Genny Iavarone, Annalisa Orfeo, Elisa Bocchetti, Francesco Maria Zurlo.

Cosa si intende per Employer Branding (EB)?

Il termine Employer Branding, nato negli anni ’90, ha una diretta derivazione dal marketing e poggia sull’assunto che i dipendenti debbano essere trattati, al pari dei clienti, come soggetti ai quali è fondamentale rendere nota la proposta di valore dell’azienda, che nel caso dei dipendenti prende il nome di employee value proposition (EVP). La proposta di valore consiste in ciò che le persone ricevono dall’organizzazione in cui sono inserite e che comprende la retribuzione e i benefici materiali ottenuti in cambio della prestazione lavorativa ma soprattutto:

• concrete possibilità di sviluppo e di crescita,

• lavoro entusiasmante,

• riconoscimento del merito,

• alto grado di autonomia nelle decisioni.

Essendo principalmente fondato sull’interesse per i dipendenti, il contributo degli addetti alle risorse umane è indispensabile per la creazione di un processo di EB per via della crucialità nella scelta del target a cui rivolgersi, la scelta dei valori su cui puntare in base al target e l’analisi dell’effettiva efficacia del processo e dei cambiamenti da inserire in corso d’opera; inoltre la strategia di EB influisce in maniera sostanziale su due dei principali focus delle risorse umane: l’attraction, e cioè la capacità dell’azienda di attrarre potenziali dipendenti, e la retention, e cioè la capacità dell’organizzazione di mantenere le persone al proprio interno potenziandone il senso di appartenenza e l’aderenza al proprio corredo valoriale. Perché una strategia di EB sia efficace però, è fondamentale selezionare solo quei valori fondanti che fanno parte della vision dell’azienda e che vengono trasferiti attraverso le strategie comunicative, perché la coerenza nella comunicazione è alla base di tutto il processo; tale coerenza deve manifestarsi anche in relazione ai feedback degli attuali dipendenti dell’azienda, gli stakeholder e i clienti, che sono i veri ambassador dell’azienda stessa.

Come abbiamo detto l’EB nasce nei primi anni ’90, allora perché è diventato imperativo solo negli ultimi anni? Perché le esigenze espresse da millennials e generazione z hanno portato un radicale cambiamento nei processi di selezione: l’attenzione si è spostata dalla solidità finanziaria dell’azienda alla possibilità di carriera e al work-life balance. La strategia che si sta rivelando più efficace ed economica in tema di EB è quella di fornire ai candidati la possibilità di acquisire feedback indiretti dall’interno dell’azienda: dare voce ai dipendenti già presenti in azienda contribuisce a creare attraction e aumenta la visibilità e la credibilità del brand; ovviamente anche tali contenuti vanno calibrati in base la target di riferimento e allo strumento utilizzato, è possibile comunque chiedere ai propri dipendenti di scrivere articoli, realizzare video per i social e condividere sfide e risultati quotidiani per dare un’idea all’esterno di quelli che sono i processi e il clima all’interno dell’azienda. Contando che si stima che il 40% dei candidati vorrebbe lavorare in multinazionali, ong ed organizzazioni no profit (ipotizzando di poter trovare un’atmosfera di lavoro piacevole e un buon equilibrio tra vita lavorativa e vita privata) le piccole e medie organizzazioni che non hanno definito una strategia di EB partono già sconfitte nella war of talent; inoltre, per quelle organizzazioni che hanno un più forte legame territoriale, è indispensabile attuare una strategia di EB perché, avendo un bacino di potenziali employees più ristretto, in questo modo potrebbero riuscire ad aumentare l’attraction e quindi a reperire più velocemente le risorse necessarie: offrire una RAL maggiore rispetto ad un’altra azienda non assicura la capacità di attrarre maggiormente rispetto ai propri competitors; proporre servizi welfare, un buon bilanciamento vita/lavoro ed un clima lavorativo sereno e dare una chiara idea al candidato di quelle che sono i potenziali sviluppi di carriera invece può fare la differenza.

La digitalizzazione e l’avvento dell’era dei social network non ha fatto altro che aiutare e rendere più semplice l’attuazione di una strategia di EB grazie all’estrema facilità di diffusione e reperimento dei contenuti; inoltre le organizzazioni che utilizzando in modo smart e con chiare finalità di trasparenza questi canali vengono percepite come più innovative, cosa che è da considerarsi un’ottima leva di attrazione, soprattutto nei confronti dei cosiddetti nativi digitali. In conclusione, definire un processo di comunicazione, di storytelling, che parte dal basso (dipendenti e capi reparto), che spiega non il prodotto, e quindi il business aziendale, ma chi e come lo fa e si diffonde sui social network, non può che essere parte integrante della complessiva strategia di EB.

Il caso Banca di Credito Cooperativo Monte Pruno

Dopo aver passato in rassegna le caratteristiche generali di una strategia di Employer Branding, andiamo a trattare il caso particolare ed esemplare dalla Banca Monte Pruno. In quanto Banca di Credito Cooperativo, la Banca Monte Pruno aderisce alla Carta dei Valori del Credito Cooperativo in base alla quale si stabiliscono i valori che la Banca deve esprimere col proprio operato:

  • centralità della persona (attraverso investimenti sul capitale umano con lo scopo di valorizzarlo);
  • cooperazione (favorendo il lavoro di gruppo  e la condivisione degli obiettivi);
  • formazione permanente (puntando sulla crescita costante delle competenze delle proprie risorse);
  • promozione dello sviluppo locale (la Banca Monte Pruno è una realtà estremamente legata al territorio ed in quanto tale deve agire favorendo lo sviluppo dello stesso).

Come abbiamo già detto questa particolare caratteristica, quella di essere legata al territorio di appartenenza, da un lato favorisce la brand reputation ma dall’altro potrebbe sembrare una caratteristica a sfavore dei processi di recruiting; in realtà una buona brand reputation abbinata ad una mirata strategia di EB non può che rendere più semplice e veloce il processo di talent acquisition.

Visto il forte assetto valoriale del credito cooperativo e l’organizzazione del lavoro all’interno di Banca Monte Pruno, la strategia di EB non poteva non tenerne conto e per questo è stata impostata in modo da utilizzare lo storytelling per effettuare un racconto permanente dell’organizzazione, dei suoi processi di cooperazione e dei processi di crescita continua dei dipendenti attraverso contributi digitali o scritti, diffusi sui vari profili social dell’azienda ma anche sulla carta stampata, per portare all’esterno dell’azienda mission, vision e values attraverso le storie di chi li ha sperimentati personalmente, in modo da renderli più reali e concreti anche all’esterno. Lo storytelling, impiegato come strumento di EB, contribuisce a creare un legame emozionale tra dipendenti ed azienda, influendo sulla retention attraverso un rafforzamento del senso di appartenenza; per ciò che riguarda l’attraction invece, la pubblicazione dei contenuti prodotti con questo strumento aumenta la web reputation dell’azienda facilitando la talent acquisition. Infine all’interno della strategia di EB di Banca Monte Pruno un’attenzione particolare è dedicata anche alla candidate experience come momento di contatto tra il candidato e i valori aziendali in modo da lasciare al candidato, a prescindere dall’esito del processo di selezione, l’esperienza di un contatto costruttivo, positivo e “di accoglienza”.

Come aumentare la retention con il corretto Onboarding

Approfondimento estratto dal Project Work “Nuove modalità di selezione in ottica 4.0. Strumenti tecnologie e casi aziendali” realizzato a fine del Master in Digital HR 4.0 Selefor CReFIS (2020) da Genny Iavarone, Annalisa Orfeo, Elisa Bocchetti, Francesco Maria Zurlo.

Onboarding e Induction

Una volta terminata la ricerca della persona più adatta a ricoprire la posizione vacante, ecco che inizia la fase di inserimento dell’individuo nel suo ruolo lavorativo. In particolare, i programmi di onboarding e induction hanno l’obiettivo di facilitare l’inserimento del nuovo dipendente in azienda fornendogli tutti gli strumenti necessari per essere completamente produttivo e autonomamente integrato con la struttura aziendale. 

Molte aziende utilizzano lo strumento dell’onboarding; Coca Cola è una di queste: nel primo mese in azienda i neo assunti partecipano a un programma di inserimento prima di venire assegnati ad una determinata area operativa. 

Non è bene lasciare i dipendenti abbandonati a loro stessi: non sarebbero produttivi, né partecipi agli obiettivi aziendali. Ecco perché il tema della retention è fondamentale. Uno studio della Oxford Economics ha stabilito che 1 neoassunto su 25 abbandona il lavoro dopo una settimana. Con i programmi di onboarding l’individuo si sentirà parte integrante e l’azienda ne uscirà più performante. Un giusto percorso di induction è elemento essenziale per il successo poiché è in grado di trasmettere la cultura di impresa oltre che tutte le informazioni pratiche e burocratiche. 

Costruire un progetto di onboarding di successo non è facile ma grazie all’ausilio delle tecnologie 4.0 è diventato più semplice che in passato per via della possibilità di coniugare le vecchie metodologie (come ad esempio meeting con il team, formazione con materiale stampato, ecc.) a nuove modalità come quelle dell’e-learning e video aziendali. È molto importante essere consapevoli del fatto che tutti (HR, Management, Colleghi) sono responsabili dei risultati delle attività di benvenuto ai nuovi arrivati in azienda. Nel libro ‘’It’s the Manager’’ di Jim Clifton e Jim Harter sono rinchiusi cinque interrogativi ai quali ogni nuovo assunto dovrebbe trovare una risposta nel processo di imbarco:

  • In cosa crediamo? Capire cioè quali sono i valori, i principi e le convinzioni della ormai nostra azienda.
  • Quali sono i miei punti forza? Per diventare produttivi ed essere considerati parte integrante dell’azienda è necessario capire quali sono i punti forti e deboli, non solo nostri, ma di tutto il team.
  • Qual è il mio ruolo? Cercare di comprendere ruoli e mansioni per la quale siamo stati assunti ma soprattutto cercare di intuire, possibilmente dopo qualche giorno, se è quello il ruolo per il quale siamo tagliati.
  • Chi sono i miei colleghi? Tutti i dipendenti devono avere un elenco di persone con la quale dovranno interagire più frequentemente per svolgere il lavoro, sia di quelli facenti parte del proprio team, che quelli appartenenti ad altri dipartimenti.
  • Come vedo il futuro in quest’azienda? E’ bene essere lungimiranti e capire se il percorso che si sta affrontando può apportare miglioramenti alla propria carriera.

È responsabilità dell’HR progettare un processo di onboarding che permetta alle risorse in ingresso in azienda di rispondere a questi cinque interrogativi in modo esaustivo e convincente.

Fare recruitment con la gamification per attrarre i millennials.

Approfondimento estratto dal Project Work “Nuove modalità di selezione in ottica 4.0. Strumenti tecnologie e casi aziendali” realizzato a fine del Master in Digital HR 4.0 Selefor CReFIS (2020) da Genny Iavarone, Annalisa Orfeo, Elisa Bocchetti, Francesco Maria Zurlo.

La Gamification e il Caso The Adecco Group

Oggigiorno una delle sfide alle quali i professionisti delle risorse umane devono far fronte è trovare il candidato più adatto per le posizioni disponibili in azienda.

Grazie all’evoluzione di internet il tradizionale processo di selezione è stato rivoluzionato; il veloce sviluppo dell’innovazione tecnologica ha creato svariati cambiamenti nelle pratiche di selezione. Le aziende adottano la gamification nell’ambito della selezione, rendendo il processo più̀ veloce e più semplice, concedendo al recruiter più tempo per organizzare le sue attività e gli dà modo di dedicarsi agli step più creativi della ricerca dei migliori talenti. Con lo sviluppo dell’information technology, il team di selezione è alla ricerca di nuovi metodi per attrarre i migliori talenti da assumere nelle proprie aziende. Chi cerca lavoro non deve far altro che iscriversi ai portali per la ricerca di lavoro o direttamente al sito web dell’azienda. La generazione dei millennial, che è il principale target del recruitment odierno, ha caratteristiche volte alla tecnologia, pensiero critico e creativo, le quali richiedono speciali attenzioni e strategie innovative da parte dei selezionatori. È utile per i recruiter mettere a punto il recruitment game per ispirare potenziali candidati ad interagire con i portali di lavoro e i social media. Il “gioco” non è soltanto un test psicometrico, bensì ha il compito di attrarre più candidati, in modo tale che il recruiter possa assumere i migliori candidati per la posizione vacante, riducendo il numero di potenziali candidati a coloro che hanno ottenuto il punteggio più alto nel gioco. I recruiter 4.0 sanno che la gamification è uno dei modi migliori per intrigare i millennial perché questi sono cresciuti giocando ai videogiochi. Una definizione generalmente adottata da tutte le organizzazioni di talent management è quella che la gamification consista nel processo di applicazione di meccanismi e tecniche di design di gioco con lo scopo di invogliare e motivare le persone a raggiungere i propri obiettivi. La selezione svolta attraverso la gamification permette ai recruiter di svolgere una migliore selezione dei candidati usando piattaforme cognitive per testare il comportamento dei candidati, rafforzare la brand value ed attrarre e trattenere i giusti candidati. La gamification consiste nell’utilizzo di meccaniche di game-play in applicazioni non-game; i meccanismi di gioco facilitano e incoraggiano gli user ad esplorare ed imparare attraverso l’utilizzo di meccanismi di feedback. I meccanismi di gioco, vengono inoltre utilizzati per creare risultati psicologici per chi gioca, che diventeranno poi risultati comportamentali. Quando viene adottata, la gamification produce molteplici benefici: l’eliminazione dei candidati viene svolta ad una velocità maggiore dal momento in cui permette alle aziende di testare specifiche capacità come la gestione del tempo, pensiero creativo e innovativo etc; permette inoltre al candidato di comprendere le informazioni e le politiche aziendali divertendosi. É uno strumento che ha il potenziale di far fuoriuscire la performance lavorativa del candidato presentandogli una piattaforma simulata del lavoro. É necessario, però, essere a conoscenza dei possibili rischi nei quali si può incorrere nell’introduzione di qualsiasi nuova tecnologia o processo: è cruciale quindi, che per qualsiasi gioco implementato nel processo di selezione venga svolta una giusta analisi ed un frequente monitoraggio.
Per questo motivo le organizzazioni dovrebbero prendere specifiche precauzioni prima di incorporare la gamification nei processi di selezione:

– Engagement: l’introduzione della gamification dovrebbe motivare il candidato ad interagire con la pagina web dell’azienda e dei suoi profili social media. Rispettando i principi della gamification, il contenuto dovrebbe essere semplice, interattivo e piacevole;

– Informazione: oltre ad intrigare il candidato, il gioco dovrebbe fornire beneficio al recruiter aiutandolo a far conoscere l’azienda al candidato;

– Realismo: é stato provato che le persone adottano una logica di gioco anziché una logica “di tutti i giorni”. Durante il gioco, l’user può svolgere le stesse attività che svolge nella vita reale ma non viceversa; se l’identificazione combaciasse il suo comportamento sarebbe identico a quello della vita reale. I selezionatori dovrebbero quindi considerare che i comportamenti di gioco non sempre dipingono un quadro completo del candidato. 

Snooze, sviluppato, scritto e diretto dalla server design company Logotel in collaborazione con il team Hr di The Adecco Group, è una nuova experience digitale di pre-selezione per i candidati attraverso una metafora sul mondo onirico che si completa ottenendo 8 possibili profili psico-attitudinali che rispecchiano, nel gamer, anche il mix di valori che l’azienda condivide (costumer centricity, team spirit, responsibility ed entrepreneurship). Al termine del gaming, il candidato può inviare la propria candidatura in linea con le vacancies presenti in azienda e inoltre condividere il proprio risultato sui social network. Snooze è una piattaforma dedicata con un video interattivo che consente agli aspiranti lavoratori di immergersi completamente in uno scenario immaginario in cui poter conoscere i valori dell’azienda e scoprirne poi il significato. Uno storytelling animato permette di approfondire la cultura aziendale attraverso contenuti speciali che descrivono valori, persone e opportunità di lavorare in azienda. Dopo una prima iscrizione sulla piattaforma, si entra nel game di Snooze, mediante dieci domande a risposta multipla all’interno di un cortometraggio misterioso, coinvolgente e con un effetto a sorpresa in cui il candidato finirà per identificarsi con l’attore e vivere l’esperienza in prima persona. L’esperienza viene narrata da una voce-guida immersiva e suggestiva che accompagna l’utente attraverso tutto il game. Una volta terminato questo percorso emergeranno le affinità tra il candidato e i valori di The Adecco Group, inoltre il candidato conoscerà il profilo in cui emergeranno le attitudini e le motivazioni prevalenti. Il profilo ottenuto viene, in seconda battuta, registrato sulla piattaforma Hr di The Adecco Group, che così arricchisce il proprio database di talenti. La nascita della gamification risponde all’esigenza di una sempre maggiore attenzione alle soft skills dei candidati, interessati a migliorare l’esperienza lavorativa attraverso la valorizzazione del proprio livello di employability. Tutto ciò con cui l’uomo interagisce è in continua evoluzione e il settore Hr, essendo la funzione aziendale più vicina alle persone, rappresenta il punto di incontro tra l’azienda e coloro che in essa lavorano e si formano. La gamification è uno strumento innovativo e rivoluzionario che sta permettendo di arricchire le modalità di gestione delle risorse umane e il loro mindset.

Hackathon: perché usarlo per la selezione del personale

Approfondimento estratto dal Project Work “Nuove modalità di selezione in ottica 4.0. Strumenti tecnologie e casi aziendali” realizzato a fine del Master in Digital HR 4.0 Selefor CReFIS (2020) da Genny Lavarone, Annalisa Orfeo, Elisa Bocchetti, Francesco Maria Zurlo.

Hackathon, nuova frontiera del recruiting, e il caso Whirlpool

Il primo hackathon è nato il 4 giugno 1999 in una provincia canadese, dove alcuni sviluppatori informatici si riunirono per migliorare la sicurezza e alcune funzioni del sistema operativo OPEN BSD, ottenendo in circa 4 giorni risultati significativi.

Questo strumento prevede un’attività partecipativa dalla durata circoscritta, grazie alla quale persone si riuniscono per risolvere problemi della vita reale, nel nostro caso aziendali, in una competizione ”friendly” e leale, fornendo tempo e spazio ai partecipanti per conoscere empasse specifici. Nella maggior parte dei casi difficilmente si arriva, alla fine dell’hackathon, ad una risoluzione completa delle prove e dei problemi posti, per via del vincolo temporale molto ristretto; comunque molto dipende dalle qualità e dalle skills in possesso dei partecipanti: molto spesso un buon risultato è costituito dalla realizzazione di un PoC (proof of concept), ovvero una prova di fattibilità, un prototipo di miglioramento della situazione iniziale dalla quale si è partiti.

Perché questo tool negli ultimi anni sta diventando di maggior uso e successo nelle risorse umane?

Nonostante sia una strada ancora poco battuta dalle imprese italiane, queste maratone possono rappresentare incredibili occasioni per risolvere problemi non sempre fittizi, a cui potrebbero andare incontro o che hanno già superato in passato, ma anche questioni delicate che stanno minando la stabilità aziendale. Risultano profittevoli perché a parteciparvi possono essere sia il personale già all’interno dell’azienda ma, soprattutto, il personale che si sta selezionando che accede all’hackathon dopo la prima fase di screening curriculare ed eventualmente dopo il superamento di alcune prove preliminari.

Le risorse umane proiettate al prossimo futuro, stanno cogliendo l’hackathon come un’opportunità di contaminazione con i partecipanti da non farsi scappare, inoltre può essere utilizzato con un duplice obiettivo: rafforzare la comunità aziendale interna, nel caso di un hackathon con personale già assunto, conoscere e attrarre i possibili futuri collaboratori nel caso di una ”maratona” organizzata durante una fase di selezione.

Alle risorse umane spetta tutta la fase logistica e di implementazione del progetto che può essere articolato in varie fasi:

  • Scelta dei candidati idonei alla partecipazione dell’evento, in base alle skills e conoscenze ritenute necessarie.
  • Pianificazione delle regole, tempistiche e tematiche da affrontare.
  • Divisione dei partecipanti in gruppi, i quali saranno affidati a tutor che supervisioneranno il loro operato, e giudicati da team di esperti.

Per chi è alla ricerca di un lavoro, il recruiting hackathon dà l’opportunità di esprimere se stessi, dimostrare capacità e competenze che in un singolo colloquio non riuscirebbero a emergere a pieno.  I giovani che scelgono di partecipare a un Recruiting Hackathon, vivono un’esperienza formativa fuori dal comune, condividono e scambiano idee con persone che possono essere a loro affini oppure con un background completamente diverso. Si confrontano per davvero, e hanno la possibilità di tirare fuori know how innovativi.

E’ un indiscutibile immersione nella realtà e nella vita aziendale per la quale si è chiamati a partecipare, apportando vantaggi strategici agli HR, testando le capacità dei partecipanti di problem solving, gestione dello stress, creatività, propositività, rispetto dell’autorità, team work e tante altre competenze trasversali; soft skill scritte nero su bianco nel curriculum che così hanno la possibilità di una dimostrazione empirica.

Per quanto riguarda l’arco temporale spetta all’ HR stabilirlo, in accordo con i vertici aziendali e ovviamente in base ad una attenta analisi dei costi e alla materia dei problemi e delle sfide da affrontare; la media nazionale della durata di tali maratone delle aziende che si sono cimentate nell’uso di questo strumento conoscitivo è di circa 2-3 giorni, per una media di 60- 80 partecipanti.

“Creatività, stress discussioni e ipotesi progettuali: non una simulazione fine a se stessa, ma l’opportunità per i giovani di fornire soluzioni concrete alla Whirlpool e mettersi in contatto con un potenziale datore di lavoro, innescando una collaborazione tra il primo produttore mondiale di elettrodomestici e numerosi giovani talenti”; sono le parole di Vittorio Carparelli, senior manager talent acquisition & employer branding di Whirlpool, in un intervista rilasciata al quotidiano nazionale il Giorno.

Il 17 novembre 2017, a Pero (MI), 60 giovani tra neolaureati in management ed ingegneria hanno partecipato a ”Whirlpool Hacks”, il primo hackathon aziendale lanciato da Whirlpool in collaborazione con Monster, uno dei più grandi motori di ricerca di lavoro al mondo. Divisi in 12 team, ciascuno dei quali affidato ad un tutor, i giovani talenti dalle ore 8 alle 24 si sono sfidati in una sana competizione sulla risoluzione di 4 business case (R&D; IT; Marketing; Consumer Service) ideati dal top management dell’azienda, il tutto in  lingua inglese; la giornata si è conclusa a notte quasi fonda con la presentazione delle soluzioni individuate e la proclamazione del team vincitore.

Nicola Rossi, Country manager di Monster Italia, non ha nascosto le difficoltà affrontate le settimane precedenti, soprattutto dal reparto Risorse Umane, nell’organizzazione dell’evento, ma alla fine ogni ostacolo tra i dipartimenti e ogni divergenza di vedute è stata limata e quasi annullata.

Ogni imperfezione è stata corretta nel mese di Ottobre 2017, poche settimane prima della maratona, ispezionando oltre 630 curriculum, di cui 60 sono risultati idonei alla partecipazione.

Il Risultato? Questa maratona ha permesso all’azienda l’opportunità di confrontarsi con dei talenti che si sono lanciati in un contatto immediato con dinamiche e condizioni reali che si sviluppano all’interno dell’ambiente di lavoro, arricchendo l’azienda di curriculum validi per future posizioni vacanti ma allo stesso tempo proponendo il suo brand in chiave innovativa e senza dubbio moderna.

 

E-Recruiting e Social Recruiting: la ricerca del personale attraverso il web

Approfondimento estratto dal Project Work “Nuove modalità di selezione in ottica 4.0 Strumenti tecnologie e casi aziendali” realizzato a fine Master in Digital HR 4.0 (2020) da Genny Lavarone, Annalisa Orfeo, Elisa Bocchetti, Francesco Maria Zurlo.

Fino a non molti anni fa gli strumenti maggiormente utilizzati per la ricerca di personale erano l’analisi delle candidature spontanee già pervenute; annunci su giornali e riviste specializzate, sul proprio sito internet e su banche dati specializzate o l’utilizzo di agenzie esterne. Oggi invece nuove tecnologie diventate di uso comune hanno reso più facile la ricerca di personale: siti come Infojobs, Indeed, Monster, Trova Lavoro, LinkedIn hanno reso più veloce la raccolta di candidature. È perciò possibile definire l’e-recruiting come l’insieme delle attività di recruiting messe in atto attraverso strumenti informatici connessi ad internet. Tra gli aspetti vantaggiosi dell’e-recruiting ci sono sicuramente i costi relativamente bassi, l’a-territorialità e a-temporalità dell’annuncio e la facilità e velocità di risposta per il candidato; tra gli svantaggi invece troviamo la necessità di selezionare il sito adatto alla ricerca che stiamo svolgendo, la ricezione di un grande numero di curricula (che comporta un maggior dispendio di tempo per lo screening) ed un’esposizione dell’annuncio più duratura (che potrebbe portare ad un allungamento dei tempi di selezione); a questi ultimi due svantaggi è possibile porre rimedio attraverso l’utilizzo di dataset: software in grado di archiviare, elaborare e trasmettere dati; l’utilizzo di tali tecnologie consente alle aziende di risparmiare tempo e denaro.

millennials, con la loro consapevolezza di vivere in un mondo in cui qualsiasi informazione è a portata di smartphone, hanno sovvertito il processo di selezione diventando proattivi e selezionando a loro volta le aziende per le quali andare a lavorare; per questo, molto più che in passato, è importante curare la comunicazione attraverso i canali social dell’azienda perché l’e-recruiting non consiste solo nel pubblicare gli annunci di lavoro sulle varie bacheche o sui social, ma anche nel creare una relazione con i talenti in target in modo da spingerli a candidarsi per la propria azienda ed evitare che si candidino per la concorrenza.

Si stima che nel 2016 il 77,4% degli utenti di Facebook era under 30, mentre nel 2019 solo il 42% dei fruitori di Facebook, Instagram e Facebook Messenger era under 34; questo vuol dire che negli anni i social hanno cambiato la propria platea di utenti e quindi è importante conoscere questi trend per poter sfruttare al meglio i social nel processo di selezione. Varie ricerche evidenziano che oltre che per l’età dei fruitori, i social si differenziano anche per il tipo di fine per  il quale vengono utilizzati: LinkedIn viene utilizzato maggiormente per la ricerca di annunci, la diffusione del proprio cv e la creazione di un network professionale, Facebook invece, viene utilizzato principalmente per controllare la reputazione di un potenziale datore di lavoro oppure per cercare contatti; per ciò che concerne i selezionatori invece, il social più utilizzato per tutte le attività rimane LinkedIn.

Il social recruiting si configura come uno strumento all’avanguardia per allargare l’interazione tra candidati e aziende alla ricerca di personale qualificato. Inoltre il social recruiting, oltre a presentare i vantaggi classici dell’e-recruiting, consente ai potenziali candidati di effettuare con facilità il passaparola dell’opportunità di lavoro tra gli utenti e ai recruiter il fact checking del cv confrontando le informazioni contenute sui profili pubblici con quelle riportate sul curriculum vitae. È bene sempre ribadire che la buona riuscita di tale processo digitale non può prescindere da uno step di selezione off line poiché l’apporto del recruiter risulta ancora tutt’oggi fondamentale per la scelta del candidato ottimale.

Intelligenza artificiale & HR: applicazioni e vantaggi

Intelligenza artificiale nel mondo delle Risorse Umane: applicazioni e vantaggi

Approfondimento estratto dal Project Work “Nuove modalità di selezione in ottica 4.0 Strumenti tecnologie e casi aziendali” realizzato a fine Master in Digital HR 4.0 (2020) da Genny Lavarone, Annalisa Orfeo, Elisa Bocchetti, Francesco Maria Zurlo.

Negli ultimi anni l’intelligenza artificiale (AI) sta guadagnando sempre più importanza in ogni ambito delle risorse umane, consentendo ai computer di snellire i processi HR grazie soprattutto alle funzioni di raccolta dati.
Nella competitiva era digitale, caratterizzata dall’uso di diverse tecnologie, innovazione e creatività sono le armi per la sopravvivenza a lungo termine nel mercato, portando al contempo le imprese ad un potenziamento di una cultura aziendale orientata al dipendente.

Le aziende 4.0 stanno sistematicamente volgendo l’attenzione verso gli analytics e l’intelligenza artificiale per aumentare la funzionalità del loro business, eliminando task ripetitivi, velocizzando il processo di acquisizione dei talenti e migliorando l’engagement. Automazione, robotica e AI stanno avanzando rapidamente, cambiando notevolmente il numero, la tipologia di lavori disponibili e il modo in cui sistematizziamo le nostre relazioni lavorative;
per comprendere al meglio l’intelligenza artificiale è importante far riferimento ai tre livelli di digitalizzazione:

Intelligenza assistita: migliora le attività delle organizzazioni automatizzando tutte le task ripetitive e dispendiose in termini di tempo, lasciando però l’aspetto decisionale all’uomo.

Intelligenza aumentata: è una concettualizzazione alternativa dell’intelligenza artificiale che si concentra sul ruolo di assistenza dell’AI, sottolineando il fatto che la tecnologia cognitiva è progettata per migliorare l’intelligenza umana anziché sostituirla. 

Intelligenza autonoma: questa è una delle superiori forme di tecnologia basate sull’AI e punta ad introdurre macchine capaci di agire autonomamente.

Uno degli usi più frequenti nell’ambito delle risorse umane riguarda il processo della Talent Acquisition: viene utilizzata per lo screening dei candidati, la gestione dei database e l’organizzazione dei colloqui, riducendo il tempo utilizzato per le task quotidiane e ripetitive. Inoltre ottimizza significativamente i tempi del processo di assunzione permettendo al team HR di essere più produttivo in altre aree come la ricerca dei talenti, recruiting marketing, employee management e molto altro. Lo screening svolto tramite l’intelligenza artificiale facilita la scelta dei candidati con le skill più idonee e con le esperienze più rilevanti in base ai requisiti richiesti dall’azienda.

Le chatbot riescono a comunicare con i potenziali candidati e ad abbinare i loro profili con i requisiti per la specifica posizione, restringendo la lista soltanto agli aspiranti candidati che più rispecchiano la job description stilata dal committente.

Successivamente al processo di assunzione il sistema AI supporta anche il processo di OnBoarding, informando i nuovi dipendenti delle politiche aziendali, le autorità di riferimento, i task e tutte le informazioni di routine. Il sistema AI può inoltre supportare la formazione dei dipendenti raccomandando pop-up video di insegnamento basati sulle necessità lavorative; legge automaticamente documenti e analizza le attività dei candidati creando appositi programmi di apprendimento. Infine il sistema AI riesce ad analizzare i dati raccolti negli anni e ad informare la DRU dei dipendenti che necessitano di formazione e ancor più in particolare in quale ambito specifico. Le piattaforme e-learning, inoltre, aiutano i dipendenti ad imparare nuove tecniche migliorando le caratteristiche e skill già in possesso.

Un processo di selezione efficace è di vitale importanza per le aziende, consentendo loro di crescere e aggiungere valore al business, ma senza dimenticare che sul processo della talent acquisition possono incombere svariati problemi:
– Sicurezza: Cyber Security e AI stanno diventando indispensabili nella lotta alle minacce informatiche e all’hackeraggio che possono affliggere l’ecosistema IT di un’azienda.
– Evoluzione: il cambiamento è continuo e costante, di conseguenza per le aziende costituisce grande sfida riuscire ad adottare un cambiamento frequente per rimanere al passo con la costante evoluzione delle nuove tecnologie.
– Costo: i costi per l’introduzione di nuove invenzioni e software e la manutenzione degli stessi può risultare molto elevata.

In conclusione l’intelligenza artificiale è una risorsa indispensabile nell’ambito delle risorse umane. Le aziende devono far fronte a incertezze e a numerose sfide ad alto rischio, ma è l’unico modo per sopravvivere sul mercato e acquisire un vantaggio competitivo nell’era digitale della globalizzazione.

E’ bene non dimenticare che l’AI non sostituisce l’intelligenza umana ma dà valore aggiunto alla DRU: il futuro dell’intelligenza artificiale, infatti, nell’ambito delle risorse umane dipende dall’abilità dell’azienda di adattarsi al costante cambiamento e di gestire una interazione guidata, e sempre più efficiente, tra uomo e macchina.

Smart Working & geolocalizzazione: la corretta tutela dello smart worker

La prestazione lavorativa resa in modalità Smart Working, se non ben regolamentata, può invadere la privacy del lavoratore, anche fuori dell’orario di lavoro. Parliamo delle implicazioni privacy dello Smart Working con il Prof. Giovanni Crea, direttore scientifico del Centro di Ricerca e Formazione Integrata Selefor.

Ultimamente il modello smart working ha subìto un’impennata nel suo utilizzo per le ragioni di emergenza che ben conosciamo; ragioni che hanno spinto il Governo a promuoverlo anche in deroga agli accordi individuali e agli obblighi informativi previsti dalla Legge n. 81/2017. È una modalità di lavoro subordinato che, evidentemente, non può prescindere dal controllo del datore di lavoro. Ma questo controllo, che implica un trattamento di dati personali eseguito con sistemi di ICT, deve potersi esplicare entro una cornice normativa ben precisa e non può avvenire fuori dall’orario di lavoro. Ciò significa che il controllo datoriale, non deve essere fine a sé stesso ma va ricondotto alle finalità e alla procedura indicate nell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.

Lo smart working è una condizione che risulta vantaggiosa per il lavoratore che può sperimentare una migliore combinazione tra vita privata e lavoro (worklife balance) nei limiti previsti dal contratto collettivo. Ma è vantaggiosa anche per il datore di lavoro, in particolare dal punto di vista economico, sia per i risparmi derivanti, ad esempio, da una razionalizzazione degli spazi che dovranno essere utilizzati sia per le implicazioni di maggiore produttività.

Questa modalità di lavoro, però, deve garantire anche la riservatezza al lavoratore. La legge n. 81 del 2017 ha stabilito le regole per il “lavoro agile”, prevedendo, tra l’altro, per il lavoratore in smart working, il diritto alla disconnessione dalle risorse tecnologiche che lo tengono collegato al datore di lavoro. Ad esempio, se uno smart worker dovesse recarsi ad una visita medica, durante l’orario di lavoro, dovrebbe avere il diritto a non essere geolocalizzato, perché tale trattamento rappresenterebbe una ingiustificata interferenza nella sua privacy; in altre parole, anche in regìme di smart working deve essere riprodotto il meccanismo del permesso retribuito previsto nella modalità tradizionale. Per fare un altro esempio, il datore di lavoro non dovrebbe inviare e-mail al dipendente al di fuori dell’orario di lavoro e, comunque, non deve assumere provvedimenti nei suoi confronti se non riceve risposta nel periodo extralavorativo.

In altri tipi di lavoro, invece, la geolocalizzazione potrebbe essere necessaria; penso al caso di una ditta di trasporti dove il guidatore-dipendente deve poter essere geolocalizzato per ricevere istruzioni circa possibili variazioni di percorso o di programma.

Intervista al Prof. Giovanni Crea,
a cura di Margherita Mariotti