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Smart Working & geolocalizzazione: la corretta tutela dello smart worker

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La prestazione lavorativa resa in modalità Smart Working, se non ben regolamentata, può invadere la privacy del lavoratore, anche fuori dell’orario di lavoro. Parliamo delle implicazioni privacy dello Smart Working con il Prof. Giovanni Crea, direttore scientifico del Centro di Ricerca e Formazione Integrata Selefor.

Ultimamente il modello smart working ha subìto un’impennata nel suo utilizzo per le ragioni di emergenza che ben conosciamo; ragioni che hanno spinto il Governo a promuoverlo anche in deroga agli accordi individuali e agli obblighi informativi previsti dalla Legge n. 81/2017. È una modalità di lavoro subordinato che, evidentemente, non può prescindere dal controllo del datore di lavoro. Ma questo controllo, che implica un trattamento di dati personali eseguito con sistemi di ICT, deve potersi esplicare entro una cornice normativa ben precisa e non può avvenire fuori dall’orario di lavoro. Ciò significa che il controllo datoriale, non deve essere fine a sé stesso ma va ricondotto alle finalità e alla procedura indicate nell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.

Lo smart working è una condizione che risulta vantaggiosa per il lavoratore che può sperimentare una migliore combinazione tra vita privata e lavoro (worklife balance) nei limiti previsti dal contratto collettivo. Ma è vantaggiosa anche per il datore di lavoro, in particolare dal punto di vista economico, sia per i risparmi derivanti, ad esempio, da una razionalizzazione degli spazi che dovranno essere utilizzati sia per le implicazioni di maggiore produttività.

Questa modalità di lavoro, però, deve garantire anche la riservatezza al lavoratore. La legge n. 81 del 2017 ha stabilito le regole per il “lavoro agile”, prevedendo, tra l’altro, per il lavoratore in smart working, il diritto alla disconnessione dalle risorse tecnologiche che lo tengono collegato al datore di lavoro. Ad esempio, se uno smart worker dovesse recarsi ad una visita medica, durante l’orario di lavoro, dovrebbe avere il diritto a non essere geolocalizzato, perché tale trattamento rappresenterebbe una ingiustificata interferenza nella sua privacy; in altre parole, anche in regìme di smart working deve essere riprodotto il meccanismo del permesso retribuito previsto nella modalità tradizionale. Per fare un altro esempio, il datore di lavoro non dovrebbe inviare e-mail al dipendente al di fuori dell’orario di lavoro e, comunque, non deve assumere provvedimenti nei suoi confronti se non riceve risposta nel periodo extralavorativo.

In altri tipi di lavoro, invece, la geolocalizzazione potrebbe essere necessaria; penso al caso di una ditta di trasporti dove il guidatore-dipendente deve poter essere geolocalizzato per ricevere istruzioni circa possibili variazioni di percorso o di programma.

Intervista al Prof. Giovanni Crea,
a cura di Margherita Mariotti