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FRINGE BENEFIT 2022: COSA STA CAMBIANDO?

di Concetta Capuano

Dall’inglese “fringe” che sta per margine o tetto, associato ai “benefits” ovvero benefici, si ricava la formula dei “benefici secondari”, tornati in auge nelle ultime settimane.

Difatti, sul modello di quanto fatto per sopperire all’emergenza da Covid-19 – in cui veniva raddoppiata la soglia fringe a 516 euro – lo scorso 9 Agosto, il governo ha confermato l’aumento del tetto massimo a 600 euro per i fringe benefit tramite il Decreto Aiuti bis (Decreto legge 115 2022 ) all’art. 12.

Oggi, i fringe benefits sono stati  incrementati per far fronte soprattutto al caro bollette, diventato insostenibile sempre per più italiani. A questi, inoltre, è possibile aggiungere i 200 euro di Bonus Carburante.

[1] Nella pratica, i datori di lavoro potranno corrispondere ai singoli dipendenti, come regolamentato dall’articolo 2099 comma 3 del Codice Civile, somme di denaro o beni e servizi (soluzioni alternative al reddito) fino al tetto massimo stabilito, senza applicare tasse o contributi su queste somme in busta paga, entro il 12 gennaio di ogni anno. 

N.B: è importante stare attenti a non superare la soglia massima accorpando benefits derivanti da criteri differenti, per non incorrere nella tassazione sull’intera somma.

Ma in sostanza, quali agevolazioni si otterranno? Vediamo…

Ogni azienda può decidere quali tipologie di fringe benefit introdurre nel proprio piano di welfare aziendale.

Tra quelli largamente erogati dalle imprese italiane risultano:

  • Buoni pasto o servizio mensa;
  • Auto aziendale per varie tipologie di usi (ad es: uso personale o strettamente lavorativo)
  • Smartphone, tablet, PC portatili;
  • Polizze vita e assicurazioni extra-infortuni deducibili per corrispettivo 12% del reddito.

I fringe benefits non devono essere forzatamente erogati a tutti i dipendenti, ma i datori di lavoro possono scegliere di accordarsi liberamente.

Laddove vengano riconosciuti – però – è molto probabile che il lavoratore accolga questi “benefits” positivamente, sia per quanto riguarda l’aspetto economicamente vantaggioso legato ad essi, che a quello socio-psicologico: il dipendente potrebbe percepire maggiormente la vicinanza dell’organizzazione di cui fa parte, maggior senso di appartenenza ad essa e incremento della soddisfazione lavorativa. Quest’ultima, non solo è fondamentale per il lavoratore, in quanto lo difende dai rischi di stress e burnout, oltre che da ripercussioni sul benessere relazionale, ma è importante altresì per i datori di lavoro e le aziende, che si ritroveranno maggiore produttività, incremento della performance e minor livello di turnover del personale.


[1] Happily, aumento massimale fringe benefit, 2022

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Concetta Capuano

Tirocinante psicologa presso Selefor srl 

 

Smart-working e produttività: Come cambierà il lavoro nell’era Post-Covid 19

– a cura di Redazione Selefor CReFIS

L’inizio del nuovo decennio ha portato con sé notevoli mutamenti alla società, dovuti fondamentalmente alla dilagante infezione da covid-19 con cui tutt’oggi si combatte.

Nei primi mesi della pandemia, quasi tutti gli Stati del Mondo, Italia compresa, sono stati costretti ad un lungo periodo di chiusura totale; il lockdownha quindi inevitabilmente portato con sé delle conseguenze su diversi fronti, primo tra tutti sul lavoro.

Le aziende per contrastare le ingenti perdite dovute al significativo rallentamento della produzione e, in taluni casi, al totale blocco delle attività, hanno adottato uno stile di lavoro che il legislatore ha coniato con il termine “agile” – il cosiddetto “Smart working” -termine ormai entrato nel nostro vocabolario quotidiano. Il legislatore ha definito lo smart-working come una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva[1]. Fino al febbraio di 2 anni fa, tale forma di svolgimento del lavoro era praticato da soli 570mila lavoratori. Negli anni 2020 e 2021, invece, il numero di smart-worker ha raggiunto oltre 7,2 milioni garantendo così alle imprese, soprattutto del settore dei servizi, il mantenimento delle attività e ovviamente del fatturato[2].

Ma a 2 anni dall’inizio della pandemia, quando ormai l’economia mondiale sembra volersi lasciare alle spalle questi anni di incertezza, ci si chiede se e in che misura tale forma di lavoro continuerà ad essere praticata perché ritenuta vantaggiosa.

Senza dubbio i dati dimostrano che nel periodo pandemico, forse inaspettatamente, le aziende hanno continuato a produrre e a erogare servizi, alcune addirittura hanno incrementato il fatturato rispetto al periodo pre-covid [3](si pensi, per esempio, alle piattaforme di videoconferenza o alle aziende di delivery). Ma se da un lato lo smart-working agevola notevolmente la work-life balance, che impatto ha a lungo termine sull’impresa? Alcuni studiosi pensano che sia necessario prestare attenzione ad alcuni aspetti quali il senso di appartenenza all’organizzazione che potrebbe andare a perdersi nel corso del tempo e la condivisione degli obiettivi da perseguire. Camera, infatti, propone come soluzione una modalità mista che permetta, di conciliare sia gli interessi dal lavoratore che quelli del datore di lavoro; alla base di tutto ciò però deve esserci fiducia, responsabilità ed autonomia nella gestione delle attività[4].

Fondamentale infatti è rendersi conto che seppur siano tanti gli studi che attestano i vantaggi del lavoro da remoto, non per tutti i lavoratori è così; molti preferiscono tornare in ufficio perché le condizioni domestiche non consentono di dedicarsi adeguatamente al lavoro.

Si potrebbe dedurre che l’elevato numero di dimissioni che si sta registrando in questi mesi, oltre a questioni meramente salariali, è da ricondurre proprio a questi processi di senso di distacco dalla propria organizzazione e perdita di interesse che spingono alla ricerca di qualcosa di nuovo e più stimolante.

Peraltro, uno studio condotto su 11 paesi europei ha evidenziato un l’impatto negativo sulla produttività dello smart-working dovuto a due fattori: la mancanza di relazioni con gli altri colleghi che ha demotivato il lavoratore (60% degli intervistati) e la mancanza di apparecchiature tecnologiche adeguate da utilizzarsi in casa (40% degli intervistati); a questi due aspetti si aggiungono difficoltà a portare a termine un’attività in autonomia e le generali condizioni di lavoro svantaggiose (una su tutte la perdita di vincoli orari). Interessante è soprattutto il punto di vista del 73% dei dipendenti che ha affermato che se nei prossimi anni non si tornerà almeno in parte in ufficio, la motivazione si abbasserà sensibilmente[5].

Emerge un quadro ambivalente in cui se in determinati settori e per un determinato tipo di lavoratori sarà difficile tornare esclusivamente al lavoro tradizionale, per altri questo ritorno alla “normalità” è auspicato e desiderato. La soluzione come sempre forse sarà nel mezzo: è importante lavorare su un riassetto generale per accogliere le esigenze dei singoli dipendenti, gestendone le attività e incrementandone le competenze sia tecniche (incrementando le abilità digitali), sia trasversali; investendo anche su infrastrutture e attrezzature tecnologiche[6].

Ciò che è certo è che non si può tornare indietro (almeno in determinati settori). Lo smart-working ormai è parte integrante del nostro concetto di lavoro; rinnegarlo non sarebbe una soluzione, ma nell’epoca post-Covid si dovrà lavorare su un riassetto generale. Sarà infatti necessario agire sulla gestione dei dipendenti, sullo sviluppo delle competenze sia tecniche (incrementando le abilità digitali), sia trasversali, e la necessità di investire maggiormente in infrastrutture e attrezzature tecnologiche[7]


[1]  Legge 22 maggio 2017, n.81, articolo 18, comma 1
[2] Camera, R., Smart working: come dovrà essere utilizzato e rimodulato dalle imprese dopo il 31 marzo, in “IPSOA Quotidiano”, 5 febbraio 2022
[3] Querzè, R. La produttività cresce con la pandemia (grazie a smart working e digitale): i dati, in “Corriere della Sera”,  dicembre 2021
[4] Camera, R., Smart working: come dovrà essere utilizzato e rimodulato dalle imprese dopo il 31 marzo, cit.
[5]https://www.macitynet.it/smart-working-poco-produttivo-se-non-usano-le-tecnologie-adeguate/
[6] Criscuolo, C., et al., “The role of telework for productivity during and post-COVID-19: Results from an OECD survey among managers and workers”, OECD Productivity Working Papers, 2021, No. 31, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/7fe47de2-en.
[7] Criscuolo, C., et al., “The role of telework for productivity during and post-COVID-19: Results from an OECD survey among managers and workers”, OECD Productivity Working Papers, 2021, No. 31, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/7fe47de2-en.

 

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