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Tra diversità e inclusione: Il diversity management nel processo di recruiting

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– Di Giuliana Cristiano 

In una società in cui i confini geografici sembrano essere sempre più labili e in cui la battaglia per i diritti civili e di genere ormai impera in ogni settore, anche per le aziende è giunto il momento di fare i conti con il concetto di diversità che in quanto tale non è facilmente definibile, se ne possono dare almeno due definizioni, una prettamente oggettiva che definisce “diversi” coloro che appartengono ad un gruppo minoritario[1], l’altra più soggettiva che invece interpreta la diversità come una caratteristica che dipende dagli occhi di chi guarda[2].

Capita sempre più spesso oggi di avere aziende con dipendenti provenienti da tutte le parti del Mondo, con religioni, culture e orientamenti sessuali differenti. La diversità in un contesto come quello aziendale se da un lato contribuisce ad avere visioni e idee differenti e sempre nuove, dall’altro se non venisse ben gestita potrebbe causare discriminazioni e conflitti interni pericolosi per il benessere del gruppo di lavoro[3].

Per questo motivo un ruolo determinante lo acquisisce il diversity manager, che ha tra gli altri compiti ha quello di inserire nel migliore dei modi nuove risorse appartenenti a gruppi minoritari garantendo una buona integrazione della stessa al gruppo già esistente.

Dunque, sin dalla fase di recruiting è importante utilizzare un approccio che consideri la complessità della persona che si ha difronte, consapevoli che vi sia un rapporto di per sé già iniquo in quanto, da un lato vi è l’esaminatore con il potere decisionale, e dall’altro la potenziale nuova risorsa che ha poco tempo per mostrare tutte le sue migliori caratteristiche, e spesso è anche intimorita e agitata non solo dal colloquio in sé ma anche dalla consapevolezza che potrebbe generare pregiudizio[4].

Si noti che talvolta la diversità è molto influenzata dal contesto: in un’azienda a forte prevalenza numerica maschile, per esempio, presentarsi da donna, potrebbe generare disagio; allo stesso modo avere tratti somatici evidentemente diversi dall’esaminatore e dal gruppo di lavoro, potrebbe intimidire il candidato che sente su di sé il peso del pregiudizio.

La diversità potrebbe però essere anche molto meno evidente di così; avere dei tratti di personalità che tendono alla chiusura, in una società sempre più aperta e socievole potrebbe essere un punto a sfavore di una risorsa che, pur essendo molto competente, non riesce ad esprimere il proprio talento in parole all’atto del colloquio.

È in queste situazioni più o meno esplicite che il recruiter deve agire guardando oltre ciò che appare al primo sguardo. L’obiettivo primario, infatti, è mettere a proprio agio il candidato, non deve far trapelare idee giudicanti e soprattutto non deve svalutarlo anche nella situazione in cui il candidato non mostra le caratteristiche che il recruiter si aspettava. È fondamentale che quest’ultimo sia capace di comprendere e gestire lo stato emotivo del candidato[5] che sicuramente è più teso del suo, e soprattutto deve strutturare il colloquio in modo da valutare la necessità di porre domande su argomenti “sensibili” che, seppur lecite (strettamente connesse al rapporto di lavoro), potrebbero essere percepite come sconvenienti[6].

Seppur meno intuitivo non bisogna dimenticare che anche il recruiter, durante il colloquio suscita emozioni, sensazioni e giudizi nel candidato, e di questo ne deve essere pienamente consapevole in modo da lasciare una buona impressione allo stesso sia per non screditare l’azienda per cui opera, sia per permettere alla risorsa di sentirsi apprezzata anche nel caso in cui non verrà scelta per il ruolo per cui si è presentata.

Sentirsi apprezzati è forse il mezzo principale attraverso cui abbattere il pregiudizio, se si adottasse un modo sempre più inclusivo di fare recruiting e management del personale, probabilmente gli obiettivi di inclusione sociale saranno raggiunti molto più velocemente di quanto si pensa. 


[1] Moscovici, S., & Faucheux, C., Social influence, conformity bias, and the study of active minorities. In “Advances in experimental social psychology” 1972, Vol. 6, pp. 149-202.
[2] Gergen, K. J., Rhetoric of Objectivity in “Rethinking objectivity” Duke University Press, Londra 1994.
[3] Dwertmann D. J. G., Nishii L. H., Knippenberg D.V., Disentangling the Fairness & Discrimination and Synergy Perspectives on Diversity Climate: Moving the Field Forward, in “Journal of Management”, n. 5, 2016, pp. 1–33.
[4] https://www.linkedin.com/pulse/come-condurre-un-colloquio-inclusivo-insidetheblackbox/?trk=organization-update-content_share-article
[5] Goleman, D., Emotional Intelligence: Why It Can Matter More Than IQ, New York, Bantam Books, 1995.
[6] https://www.linkedin.com/pulse/come-condurre-un-colloquio-inclusivo-insidetheblackbox/?trk=organization-update-content_share-article

 

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Giuliana Cristiano

Tirocinante Psicologa presso Selefor s.r.l.